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Faggete

Solitamente, i boschi di faggio crescono nella fascia fra i 900 e i 1500 metri di quota, su terreni freschi e profondi; necessitano costantemente di acqua e mal tollerano sbalzi di temperatura. Nelle faggete di Sant’Antonio è facile imbattersi in lembi boschivi misti, dove ai faggi si alternano di piante pioniere quali noccioli, pioppi tremoli, betulle o maggiociondoli.
Il faggio (Fagus sylvatica) è una latifoglia decidua che può raggiungere dimensioni ragguardevoli, come nel caso del Faggione di Prato a Marcaccio, un albero monumentale che raggiunge i 30 m d’altezza ed i 5 m di circonferenza. Per quanto maestoso, il Faggione non è l’unico esemplare grande e vecchio nella Foresta di Sant’Antonio: vi si trovano anzi parecchie “matricine”, cioè alberi imponenti che svolgono la funzione di riproduzione da seme.
Le foglie del faggio sono ellittiche, appuntite, con margine crenato e aspetto lucido; la corteccia è grigia e liscia. I suoi frutti, che si chiamano faggiole, sono pelosi, hanno forma di riccio, e sono il cibo preferito di scoiattoli, ghiri e ghiandaie.
Il sottobosco delle faggete è piuttosto scarso, a causa delle fitte chiome degli alberi, che non lasciano trapelare molta luce: nondimeno, riescono a crescervi alcune piante erbacee che regalano fioriture di fine inverno particolarmente suggestive: a Marzo, le scille, l’anemone dei boschi o erba silvia, l’anemone fegatella, la stellina odorosa, l’acetosella, la lattuga montana, l’astranzia e la mercorella danno alla faggeta colori bellissimi.

Castagneti

In Italia ed in Toscana l’albero del castagno ha rivestito per lunghissimo tempo un’importanza vitale per l’alimentazione umana ed animale, e certamente anche gli ampi castagneti della foresta di Sant’Antonio hanno a lungo rivestito una notevole importanza economica. Per favorire la raccolta delle castagne, di solito questo ambiente era tenuto sgombro dal sottobosco arbustivo, ripulito da fogliame, e talvolta falciato nello strato erbaceo. Qui come altrove, però, con l’abbandono dell’economia di montagna è venuta meno la necessità di curare e pulire i boschi di castagno per raccoglierne i frutti; vaste aree del castagneto hanno perciò subito un processo di rinaturalizzazione piuttosto rapido. In alcune aree si è conservato un bosco puro, in altre invece accanto ai castagni sono cresciute alcune specie arboree come l’acero minore (Acer monspessulanum), acero opalo (Acer obtusatum), carpino bianco (Carpinus betulus) e si sono formati pertanto dei lembi boschivi di latifoglie miste.

In località Capanna Mandro Vecchio, sopra Poggio al Fantoccio, si trovano i castagneti d’alto fusto; il bosco di castagno ceduo cresce invece alle pendici di Poggio Castellare e lungo il Borro di Sant’Antonio. Il castagneto da frutto è formato da alberi ad alto fusto e dalle ampie chiome, che rimangono in vita per lunghissimo tempo.

Cerrete

Il nome “cerro” deriva dal latino cirrus, “ricciolo”, con riferimento alle lunghe squame arricciate che ricoprono la cupola della ghianda dell’albero. Il Quercus cerris raggiunge facilmente i 30 metri d’altezza: ha il tronco diritto, a corteccia grigio-nerastra fessurata con solchi dal fondo rossastro. Solitamente, le cerrete prosperano in ambienti freschi, dalla pianura ai 1.500 m di quota. Nella Foresta di Sant’Antonio i boschi di cerro crescono sia a ceduo che in fustaia transitoria, e si trovano sopra Massa Nera, lungo il Fosso di Melonza ed il sentiero per Case Sant’Antonio.
Rispetto alla roverella, il cerro ha maggiore necessità di suoli profondi e di buona disponibilità idrica nel periodo estivo. Assieme al cerro si trovano spesso carpino, la roverella, il frassino, il sorbo: un classico esempio di bosco misto di latifoglie si trova nel tratto del sentiero CAI 14 che conduce alla pista forestale.

Boschi di conifere

I boschi di conifere della Foresta di Sant’Antonio sono di origine artificiale; le specie più diffuse sono la douglasia (Pseudotsuga menziesii), l’abete bianco (Abies alba) e il pino nero (Pinus nigra).
Troppo folti per far filtrare la luce necessaria alla crescita di un normale sottobosco ed inadatti a nutrire la fauna, hanno scarso interesse dal punto di vista naturalistico. L’area fu rimboschita prevalentemente nel dopoguerra, a fini di tutela idrogeologica, perché dopo tanti anni di attività umana i versanti risultavano completamente denudati; il suolo di questa zona è ancor oggi fortemente acidificato, e non è in grado di decomporre le grandi quantità di aghi che si depositano.
Le douglasiete sorgono in diverse aree quali Poggio Castellare, Poggio Sant’Antonio, Case Lavana, in alcune fasce lungo il torrente Resco, e sopra Pian della Farnia. Le abetine di abete bianco si trovano invece in località Case Sant’Antonio, Pian della Farnia e nei pressi di Poggio alla Cesta.
Benché rari, nei boschi misti di conifere si trovano talora cedri (Cedrus libani), pini silvestri (Pinus sylvestris), larici (Larix decidua); sono però più frequenti latifoglie come il carpino nero e l’orniello.

Torrenti

Chi vuole esplorare meglio la Foresta di Sant’Antonio deve percorrere la risalita del Borro delle Fornaci e quella del Borro di Sant’Antonio. Questi ruscelli alimentano il torrente Resco, che dopo aver bagnato Reggello confluisce in Arno. Ci sono anche altri borri nascosti, più piccoli ma non meno suggestivi, come il Borro alla Stufa o il Borro della Rota. E non si può non accennare alla cascata di Meriggioni, le cui acque limpide irrompono all’improvviso nel folto della faggeta, con un salto davvero spettacolare. Nella foresta si trovano anche le sorgenti di Massa Bernagia, di Fonte al Fosso e la Fonte del Varco.
Dato che la portata d’acqua dei torrenti è strettamente legata alle stagioni, vi sono periodi dell’anno in cui i corsi d’acqua straripano o sono molto difficili da guadare, ed altri in cui l’acqua scarseggia. In genere la vegetazione lungo le rive è costituita da faggi, e talvolta anche da resti di vecchie marronete. Anche salici, sambuchi e ontani sono specie spontanee che prosperano in questo ecosistema.Il letto del Resco è coperto di grandi massi che la corrente non può spingere a valle, e perciò lungo tutto il corso del torrente affiorano rocce e si generano salti naturali. In passato le risorse idriche della foresta erano più che sufficienti a coprire il fabbisogno dell’abitato di Reggello; oggi sono necessarie per la sopravvivenza dell’area protetta.

Aree rupestri, pascoli e prati

Salendo a quote maggiori la foresta scompare gradualmente, e prima di arrivare sulle praterie del crinale lascia il posto ad un particolare ecosistema di rupi e rocce, dove crescono principalmente macchie di arbusti. Nei punti dove il bosco, diradandosi qua e là, lascia penetrare meglio i raggi di sole, crescono ginestre, scope, rovi, ginepri e biancospini.
Le praterie che si estendono sul crinale sono di origine antropica: si sono formate in passato per l’intensa attività di pastorizia e di allevamento libero del bestiame. Oggi si distingue un pascolo cespugliato in disuso, dove crescono ginestra dei carbonai, pruno, rosa e brugo, da un pascolo nudo lungo il crinale: qui le mucche pascolano ancora, e brucando e concimando contribuiscono a mantenere il cotico erboso di graminacee.

Il nardo (Nardus stricta) ricopre alcune praterie di Sant’Antonio – i cosiddetti “nardeti”: questi costituiscono un habitat naturale di interesse comunitario, la cui conservazione è considerata prioritaria nell’ambito della conservazione della biodiversità europea. Grazie a quest’ importante riconoscimento sono state intraprese azioni di conservazione a tutela dei nardeti del Pratomagno.

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